L'ONNIPRESENZA DELL'EROE CLASSICO E L'ASSENZA DELL'INETTO SVEVIANO

Di Costanza Materassi e Annalisa Tognazzi - Classe II F DEL Liceo"RODOLICO" di Firenze
Docente: prof.ssa Cristina Minucci

 

 

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Premessa

E' uscito il volume degli Atti del Convegno Nazionale su Italo Svevo (Febbraio 2006) a cura dell'Associazione culturale Diesse, che contiene la tesina delle studentesse Costanza Materassi e Annalisa Tognazzi della classe II F vincitrice del primo premio.

Con grande soddisfazione pubblichiamo sul sito d'Istituto il lavoro delle allieve che si caratterizza per un taglio moderno non del tutto scevro da una certa divertita ironia che relativizza, e talvolta anche ridimensiona i personaggi letterari: un approccio apprezzabile perché capace di rendere immediatamente fruibili suggestioni complesse come il pensiero di Freud e Schopenhauer.

Ne consegue la particolare sottolineatura dell'attualità di questo autore che, con le sue analisi lucide e precise sul comportamento umano ci invita a riflettere e forse a convivere più serenamente con le nostre fragilità.

 


 

Indice

1. INTRODUZIONE

2. L'EROE, IL SUPERUOMO DANNUNZIANO, L'ANTI EROE SVEVIANO A CONFRONTO

3. L'AFFERMAZIONE DELL'EROE CLASSICO SULLA SOCIETÀ E L'INETTITUDINE DEI PERSONAGGI SVEVIANI

4. LA CONCEZIONE DEL TEMPO, DEL DESTINO E DELLA DIVINITÀ NEI POEMI CLASSICI E NEI ROMANZI SVEVIANI

5. IL MOTIVO DELLA GUERRA NELL'"EPOS" E NELLA PRODUZIONE LETTERARIA DI SVEVO

6. CONCLUSIONE

7. BIBLIOGRAFIA

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


1. INTRODUZIONE

Sin dall'antichità ogni popolo ha sentito il bisogno di crearsi dei miti, degli eroi che potessero essere presi d'esempio per tutti. Gli eroi dovevano essere ammirati e rispettati. Spesso erano in contrasto con le divinità o con persone più potenti di loro e combattevano per affermare il proprio valore o il bene della società. Da sempre l'eroe, descritto con straordinarie prerogative nell'immaginario collettivo, incarna il bene. Omero e Virgilio hanno esaltato nei loro poemi la figura dell'eroe. In tutti e tre i poemi epici la figura dell'eroe viene esaltata.

Al contrario Svevo distrugge la tipologia tradizionale dell'eroe classico per costruire un personaggio che si può considerare l'esatto opposto dell'archetipo omerico e virgiliano.
Se Achille o Ettore ricercano l'affermazione della propria virtus all'interno della collettività, i personaggi dei romanzi di Svevo esprimono il loro disagio proprio nel momento in cui si relazionano alla società. Infatti possiamo considerare i protagonisti dei suoi romanzi, per esempio Alfonso Nitti di Una vita, Emilio Brentani di Senilità e Zeno Cosini di La coscienza di Zeno, "anti eroi" della letteratura che non riescono a emergere dal contesto sociale e perciò soccombono ad esso.

Il nostro lavoro si propone di dimostrare come nei romanzi di Svevo viene scardinata la tipologia tradizionale dell'eroe classico, delineata da Omero e Virgilio e poi successivamente confutata nell'elaborazione del superuomo dannunziano, quindi di indagare le principali differenze e affinità dei personaggi di Svevo con gli eroi classici e dannunziani per capire il ruolo di questi "anti eroi".

 

 

 

 

2. L'EROE, IL SUPERUOMO DANUNZIANO, L'ANTI EROE SVEVIANO A CONFRONTO

Gli eroi dei poemi omerici come Achille e Ulisse sono caratterizzati da una grande bellezza esteriore dalla quale deriva di conseguenza quella interiore, kalokagathìa, secondo il concetto per il quale bello è anche buono. Il corpo infatti è il bene più prezioso che un uomo possa avere e nel quale si rispecchiano tutte le altre virtù. Il modello di uomo esaltato nei poemi omerici trova il suo corrispettivo nell'arte greca classica, che propone tipologie individuali come il Discobolo di Mirone, "uomo misura di tutte le cose". Nell'Iliade ci sono molti riferimenti al corpo e a parti di esso: per esempio, quando Achille uccide Demolente, nel libro XX, viene menzionato l'encefalo: ‹‹…colpì alla tempia attraverso i rinforzi dell'elmo; né l'elmo di bronzo di bronzo resistette, ma attraverso questo la punta scagliata ruppe l'osso, l'encefalo dentro tutto si spappolò….›› (XX, vv .397-400) nota1.

Un'altra parte del corpo importante è l'ombelico, menzionato quando Achille uccide Polidoro: ‹‹…lo colpì in pieno con l a lancia il piede veloce divino Achille al dorso, mentre correva, dove delle cinture le fibbie auree si univano e spessa era la corazza; da parte a parte, passò fino all'ombelico dell'asta la punta in ginocchio cadde gemendo, una nube l'avvolse nera, tenne gli intestini con le mani abbattendosi…››(XX, vv. 413-418).

Oltre a questi sono molti i riferimenti alle parti del corpo che dimostrano sia la profonda conoscenza dell'anatomia umana da parte di Omero, sia la grande importanza che assume il corpo nei poemi omerici: ‹‹..Così sussurravano; ma com'era ignoravano. Intanto nel suo palazzo Odisseo dal gran cuore la dispensiera Eurinòme lavò, l'unse d'olio, indosso un bei manto gli mise e una tunica; allora sopra la testa gli versò molta bellezza Atena, più grande lo fece e robusto a vedersi; dal capo folte fece scender la chiome, simili al fiore del giacinto. Come quando agemina l'oro e l'argento un artista esperto, che Efesto e Pallade Atena istruirono in tutte l'arti, compie lavori pieni di grazia; cosi gli versò grazia sulle spalle sul capo. Dal bagno usci simile agli immortali d'aspetto.."

Al contrario i personaggi sveviani non sono caratterizzati da questa aitanza e bellezza e non sono contrassegnati da virtù quali il coraggio e il sacrificio per la società. Infatti, Svevo descrive la psicologia di questi individui evidenziando soprattutto le loro fragilità e dai pochi riferimenti al corpo si può capire che sono persone comuni, non sgradevoli, ma nemmeno dotare di un'eccezionale bellezza. In Senilità la presentazione iniziale di Emilio ci rivela solo l'età e il carattere: ‹‹A trentacinque anni si ritrovava nell'anima la brama insoddisfatta dei piaceri e di amore, e già l'amarezza di non averne goduto, e nel cervello una grande paura di se stesso e della debolezza del proprio carattere, invero piuttosto sospettata che saputa per esperienza››.

In La coscienza di Zeno alcuni elementi ci fanno capire che il protagonista non è molto bello, infatti è bassino e tarchiato, ciò nonostante rimane interessante. Ne troviamo un esempio quando Zeno si confronta con il padre della sua futura moglie Giovanni Malfenti: ‹‹Io ero abbastanza colto essendo passato attraverso due facoltà universitarie eppoi per la mia lunga inerzia, ch'io credo molto istruttiva. Lui, invece, era un grande negoziante, ignorante ed attivo. Ma dalla sua ignoranza gli risultava forza e serenità ed io m'incantavo a guardarlo, invidiandolo››.

Vengono principalmente evidenziate particolari prerogative dei protagonisti come le capacità dialettiche: ‹‹Io amavo la parola semplice, io, che come aprivo la bocca svisavo cose o persone perché altrimenti mi sarebbe sembrato inutile di parlare, Senz'essere un oratore, avevo la malattia della parola. La parola doveva essere un avvenimento a sé per me e perciò non poteva essere imprigionata da nessun altro avvenimento››, Maggiori analogie con l'ideale di bellezza maschile greca si ritrovano nella produzione letteraria dannunziana.

Il superuomo dannunziano, che si eleva al di sopra della borghesia e della plebe creando barriere sociali, evidenzia la concezione dell'affermazione e del successo che si raggiunge solo con la forza, il dominio e la sottomissione dei più deboli. Inoltre, come nelle opere di Omero, D'Annunzio elabora il concetto del culto della bellezza come ideale elitario nota2. Si arriva così alla concezione aristocratica del mondo e al conseguente disprezzo della plebe. Ne è un esempio la figura di Andrea Sperelli in II piacere, che segue la teoria di "habere, non haberi", con la quale si afferma la concezione aristocratica della vita e il disprezzo della plebe.

Al superuomo di D'Annunzio si contrappone l'inetto sveviano, individuo che ha smarrito la propria identità. Si tratta di un personaggio che ha molti "fratelli" nella narrativa del Novecento: basti pensare a Mattia Pascal o a Vitangelo Moscarda protagonisti di II fu Mattia Pascal e di Uno, nessuno e contomila di Luigi Pirandello. Già Senilità, delinea perfettamente la tipologia del personaggio inetto "incapace di vivere", che non vive ma "si lascia vivere". Con Svevo crolla l'immagine dell'uomo monolitico, "tutto d'un pezzo" cioè capace di affrontare la realtà senza incertezze, come gli eroi classici.

Anche in Una vita Alfonso è costretto a lasciare una posizione sociale di prestigio, e pertanto viene considerato un "diverso" dalla società. Questo disorientamento porta infine all'evento cruciale che è il suicidio, visto come una forma di liberazione dal senso di oppressione vivo in lui. L'inettitudine si può quindi considerare quasi come una malattia incurabile, che porta l'individuo a osservare la vita e lo scorrere del tempo.

 

 

 

3. L'AFFERMAZIONE DELL'EROE CLASSICO SULLA SOCIETÀ E L'INETTITUDINE DEI PERSONAGGI SVEVIANI


Nei poemi omerici la figura dell'eroe riesce ad affermarsi nel contesto sociale. L'eroe è colui che sa imporsi e che si sacrifica per il bene di tutti. La società inoltre giudica sia le persone sia il loro operato: è il caso del III libro dell'Iliade nel quale Elena incontra sulla torre delle porte Scee i capi dei Troiani, che al solo vederla la credono una dea. Nel VI libro dell'Iliade invece è più sentito il tema del sacrificio verso la patria che nasce dal desiderio personale di affermarsi e di affermare la figura dell'eroe su tutti; infatti in questo libro Andromaca, moglie di Ettore, cerca di dissuaderlo dall'andare a combattere e lo esorta a rimanere con lei e il figlio, Ettore tuttavia sottolinea il suo dovere etico di lottare per difendere la patri.

Questo desiderio di affermazione si ritrova nella risposta di Ettore: ‹‹Donna, anch'io sì, penso a tutto questo; ma ho troppo rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo, se resto come un vile lontano dalla guerra. Ne lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani, al padre procurando grande gioia e a me stesso›› (VI, vv. 441-446)

Un altro episodio nel quale si ritrova il senso del sacrificio, ma anche di affermazione personale è la vestizione delle armi d'Achille da parte di Patroclo che va a combattere per risollevare gli animi dell'esercito acheo e per convincere Achille a scendere di nuovo in campo per la battaglia; solo con la morte di Patroclo infatti egli riprenderà a combattere, deciso più che mai a sconfiggere i Troiani.

Nel libro dell'Iliade Odisseo, con astuzia e particolare carisma, riesce anche in questo caso a convincere l'esercito spartano a non tornare a casa dopo l'ordine di Agamennone di far salpare le navi; è molto chiara "l'affermazione dell'eroe" sull'esercito. Gli eroi omerici quindi riescono a confrontarsi con la società e a emergere da essa come modelli di vita.

Non è così per i personaggi di Svevo che vengono continuamente emarginati e che non riescono a superare questa "inettitudine". Ad esempio nel romanzo Una vita, Alfonso dopo la morte della madre torna al lavoro, dal quale però verrà declassato anche dopo le inutili sue proteste. Ciò mette in evidenza l'impotenza del protagonista a reagire a un'emarginazione e a imporsi sulla società. In Senilità questo disadattamento è sentito soprattutto quando Emilio Brentani e Stefano Balli, suo amico, escono insieme ad Angiolina e a un'amica di Stefano e vanno a cena fuori. Emilio infatti è spesso messo in difficoltà dal Balli, che dimostra di essere più esperio nel "trattare" le donne; infatti viene quasi messo da parte nelle conversazioni tenute alla cena. In seguito rivelerà il disagio all'amico che cercherà di aiutarlo.

Infine possiamo dire che i personaggi sveviani hanno "la malattia del vivere", per la quale preferiscono "soccombere" alla società piuttosto che integrarsi; ne è un esempio quando Zeno tradisce Augusta con Carla e abbandona il "mondo sano e regolato" per l'incognita del proibito: "Poi, invece, seppi ch'essa neppur sapeva come fosse fatta la salute. La salute non analizza se stessa e neppur si guarda allo specchio. Solo noi malati sappiamo qualche cosa di noi stessi". Al contrario nell'Iliade gli epiteti formulari definiscono i personaggi e li qualificano positivamente: "Achille piede rapido... Ettore elmo abbagliante... lo intese Odisseo glorioso... Arena occhio azzurro... Achille glorioso coi piedi veloci...". Allo Stesso modo, i personaggi dannunziani si affermano nella società contrapponendo alla mediocrità del popolo e al suo modus vivendi come Andrea Sperelli in Il piacere A differenza degli eroi di Omero però il superuomo di D'Annunzio non vuole tanto dimostrare agli altri, quanto a se stesso; per questo si può considerare un narcisista.

 

 

4. LA CONCEZIONE DEL TEMPO, DEL DESTINO E DELLA DIVINITÀ NEI POEMI CLASSICI E NEI ROMANZI SVEVIANI


La concezione del tempo nei romanzi di Svevo è sfuggente e soggettiva; non sono molti infatti i riferimenti a fatti storici che possano essere datati con certezza. A Svevo interessa semplicemente delineare una vita e le sue caratteristiche, non avrebbe senso quindi ricostruirla in un modo preciso.

In La coscienza di Zeno gli avvenimenti seguono l'andamento dei ricordi del protagonista e non vengono messi in ordine cronologico. I capitoli infatti sono riconducibill a esperienze passate che vengono rievocate nella memoria di Zeno e resta così difficile ricavare la successione degli avvenimenti che si intrecciano in passato, presente e futuro secondo la dimensione temporale di Zeno e quella dell'autore nota3, come nell'ultimo capitolo. Infatti le date che ricorrono sono quelle delle "ultime sigarette", che a volte sono disposte in modo da creare giochi di numeri: ‹‹Oggi, 2 Febbraio 1886. passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!.... Nono giorno del nono mese del 1899... Primo giorno del primo mese del 1901... Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24 ". Una data importante è quella della morte del padre: "15/4/1890 ore 41/2. Muore mio padre. U.S.nota4 ..."; ma soprattutto, nell'ultimo capitolo, quando viene trattato il tema della guerra, si hanno date precise alle quali seguono parti del racconto che compongono appunto questa parte: ‹‹3 Maggio 1915... 15 Maggio 1915... 26 Giugno 1915... 24 Marzo 1916..››.

Per quanto riguarda Una vita il tempo della narrazione non è uniforme, ma si succede in pochi eventi significativi - data la vita monotona di Alfonso - ed è pieno di continue riflessioni; cosi è pure per Senilità. Il tempo diventa dunque accessorio; inoltre gli eventi sembrano casuali, si susseguono senza un "disegno", o destino, prestabilito cosicché i protagonisti si lasciano trasportare da ciò che accade attorno a loro: per esempio l'incontro tra Zeno e Carla, che avranno poi una storia ma che finirà per essere una futile avventura dalla quale lui uscirà illeso. I fatti e gli avvenimenti sembrano non colpirlo più di tanto ma gli scivolano addosso quasi che fosse confinato in un limbo, in un mondo parallelo dal quale vengono filtra ti tutti gli eventi; la morie del cognato Guido è un esempio edatante di questo distacco dalla realtà in quanto Zeno sbaglia funerale e compiange nella marcia funebre un altro feretro.

In Senilità Emilio non è capace di crearsi un proprio destino e si costruisce una maschera con la quale si esalta, nascondendo a sé e agli altri la sua vera natura di scrittore fallito e inetto, si ha cosi la condizione ormai consolidata dell'inetto che non riesce a emergere e che è quindi confinato nel suo disadattamento; si potrebbe dire che il destino degli inetti è di rimanere per sempre intrappolati in questo stato che è l'incapacità di vivere serenamente. Nelle opere di Omero Invece si rilevano sequenze cronologiche ben precise nel tempo, che scorre in ordine cronologico con alcune prolessi; per esempio nel IV capitolo viene convocato il concilio degli dèi, dove viene deciso che Troia cadrà. Anche nel XV libro si ha un'anticipazione dei fatti che avverranno data da Zeus che, accortosi dell'inganno di Era, preannuncerà come stabilito la fine di Troia: ‹‹.. egli allora manderà il suo compagno Patroclo; ed Ettore luminoso l'ucciderà davanti a Ilio, dopo che molti giovani avrà domato, molti altri, e mio figlio fra quelli, Sarpedone divino: e furibondo per lui, Achille glorioso ucciderà Ettore. Da quel momento in poi un'offensiva continua senza arresto farò partire dalle navi, finché gli Achei prendano Ilio rocciosa coi consigli d'Atena"››, gli eventi inoltre sono molto importanti e non sono assolutamente mai casuali.

Ne è un esempio la morte di Patroclo, nel XVI libro dell'Iliade, alla quale Achille non resta indifferente. È da qui infatti che ritorna a combattere contro i Troiani. Da qui si rileva il senso profondo del destino dell'antica Grecia. Esso è al di sopra di ogni cosa e neppure le divinità possono modificarlo. Infatti nel XIX capitolo dell'Iliade, Era dà la possibilità al cavallo Xanto di Achille di rispondere alla richiesta di questo di proteggerlo e salvarlo dalla battaglia, dicendo che però verrà presto il giorno della sua morte, non per sua volontà o degli dèi ma da qualcosa di più "potente", il destino: ‹‹Oh sì! Ancora una volta ti salveremo. Achille gagliardo. Ma t'è vicino il giorno di morte; e non noi ne siam causa, ma un gran dio e la Moira potente; e non per nostra lentezza o indolenza i Teucri han tolto l'armi dalle spalle di Patroclo; ma il più forte dei numi, che partorì Latona bella chioma, l'uccise tra i primi e diede a Ettore gloria; noi potremmo anche correre a paro col soffio di Zeffìro che, dicono, è velocissimo; pure, per te è destino esser vinto da un mortale e da un dio››.

Omero infatti nelle sue opere rivela una particolare sensibilità al problema delle divinità e del destino; già dai primi versi dell'Iliade infatti viene menzionata una divinità: ‹‹Canta o dea, l'ira di Achille Pelide, rovinosa, che infiniti dolori indisse agli Achei, gettò in preda all'Ade molte vite gagliarde d'eroi, fece d'essi il bottino dei cani, il pasto degli uccelli - consiglio di Zeus si compiva - da quando prima si divisero contenendo l'Arride signore di eroi e Achille glorioso››. Molti altri sono i riferimenti agli dèi nei poemi epici, mentre nelle opere di Svevo non viene posto il problema. Lo scrittore triestino, infatti, si può considerare agnostico e non sono molti i punti nel suoi romanzi nei quali faccia riferimento a Dio o alle divinità; questo spiega perché ne La coscienza di Zeno il protagonista, alla morte del padre, come già detto, sbaglia funerale, fatto derivante anche dalla scarsa considerazione degli eventi e del mondo che lo circonda. È anche vero però che alla fine del capitolo sulla morte del padre in La coscienza di Zeno viene accennata la religione usata però come forma di "espiazione della colpa" che si sente addosso Zeno data dalla morte del padre: ‹‹Ritornai e per molto tempo rimasi nella religione della mia infanzia. Immaginavo che mio padre mi sentisse e potessi dirgli che la colpa non era stata mia, ma del dottore. La bugia non aveva importanza perché egli ormai intendeva tutto ed io pure. E per parecchio tempo i colloqui con mio padre continuarono dolci e celati come un amore illecito, perché io dinanzi a tutti continuai a ridere di ogni pratica religiosa, mentre è vero - e qui voglio confessarlo - che io a qualcuno giornalmente e ferventemente raccomandai l'anima di mio padre. E proprio la religione vera quella che non occorre professare ad alta voce per averne il conforto - raramente - non si può fare a meno››. In conclusione anche i temi del destino, del tempo e della divinità pongono in antitesi la produzione sveviana con le opere epiche classiche, che nella prima vengono trascurati o sono addirittura assenti, mentre nell'altra sono il filo conduttore della storia e determinano i fatti più importanti.

 

 

 

 

5. IL MOTIVO DELLA GUERRA NELL'"EPOS" E NELLA PRODUZIONE LETTERARIA DI SVEVO


Un altro motivo che differenzia le due diverse produzioni è quello della guerra. I poemi omerici "usano" la guerra come mezzo per esaltare la patria e l'eroe. L'Iliade infatti narra le vicende della guerra di Troia, l'intero poema si basa su scene di battaglia interrotte da piccoli altri avvenimenti come l'orazione di Odisseo all'esercito: ‹‹Ma tu per questo l'Arride Agamennone pastore d'eserciti godi d'offendere, perché molti doni gli danno gli eroi Danai; e tu concioni ingiuriando. [...]. Disse così, e con lo scettro il petto e le spalle percosse; quello si contorse, gli cadde una grossa lacrima, un gonfio sanguinolento si sollevò sul dorso sotto lo scettro doro.."; o il funerale di Ettore: ‹‹Entrò non visto il grande Priamo, e standogli accanto strinse fra le sue mani i ginocchi d'Achille, baciò quella mano tremenda, omicida, che molti figliuoli gli uccise [...]. O Patroclo, non indignarti con me, se saprai, pur essendo nell'Ade, che ho reso Ettore luminoso al padre: non indegno riscatto m'ha offerto, e anche di questo io ti farò la parte che devo ››; il catalogo delle navi, alla fine del secondo libro consiste in una digressione ecfrastica, che invece interrompe la vicenda per riportare il numero degli eserciti e delle navi che combattono contro Troia.

La guerra è un mezzo per affermare la propria superiorità sulla società, così la "usa" Achille nelle sue continue lotte; egli sceglie infatti di condurre una vita breve, ma piena di gloria piuttosto che vivere più a lungo ma essere dimenticato da tutti dopo la sua morte, come le aveva rivelato un giorno la madre. Omero si sofferma nella descrizione dettagliata delle battaglie; sempre nel libro secondo vediamo l'avanzata degli eserciti achei che mette in risalto la maestosità e la grandezza delle armate: ‹‹Di questi - come innumerevoli schiere d'uccelli alati, d'oche o di gru o di cigni lungo collo, nei prati d'Asia, sulle correnti del Castro qua e là volteggiano, sbattendo l'ali con gioia, e mentre con gridi si posano la prateria risuona così innumerevoli schiere di questi dalle navi e dalle tende si riversavano nella pianura Scamandriai la terra rombava terribilmentesotto i piedi loro e dei cavalli, si fermarono nella prateria Scamandria fiorita,a migliala, quanti le foglie e i fiori nascono a primavera››.

Per quanto riguarda l'Eneide c'è una differenza sostanziale rispetto all'Iliade per quanto riguarda il tema della guerra, infatti viene "usata" per necessità e non per affermazione personale, inoltre è presente soltanto nella seconda parte del poema. Prendiamo come esempio la morte di Eurialo e Niso nel nono libro: ‹‹... frattanto cavalieri mandati in avanscoperta dalla città latina, mentre il grosso dell'esercito indugia schierato nella pianura, andavano e portavano a Turno risposte del rè: trecento, tutti armari di scudi, guidati da Volcente nota5. [...] Disse, e con la sforzo di tutte le membra scagliò il ferro: l'asra volando flagella le ombre della notte, e di fronte colpisce lo scudo di Sulmone, e ivi s'infrange, e attraversa i precordi col legno spezzato››. In questo passaggio si ritrovano delle analogie con i poemi di Omero, infatti la descrizione dell'arma che uccide Sulmone si può ricondurre, in maniera più accentuata, alle molte descrizioni omeriche delle battaglie in cui è evidente la profonda conoscenza dell'anatomia umana.

Al contrario Svevo crede che con la guerra si arrivi solo a generarne un'altra e che quindi non sia strumento di affermazione personale. La convinzione di Svevo che la guerra non porta altro che alla sofferenza viene ribadita in una lettera all'amico Frescura nota6: ‹‹La turpitudine della guerra non è diminuita ne dal patriottismo né dall'eroismo nota7››. Svevo è stato uno dei pochi scrittori che avevano capito che la guerra non sarebbe finita nel 1918; nell'anno dell'uscita di La coscienza di Zeno si era agli albori della Società delle Nazioni e si sosteneva che questa guerra avrebbe posto fine a tutte le altre guerre, mentre l'ultimo capitolo del libro di Svevo contiene un messaggio di segno contrario: l'imminenza di altre guerre e calamità.

Infatti è soprattutto nell'ultima parte del romanzo che viene trattato il tema della guerra, a volte in modo ironico, come quando sostiene che l'Italia non potrà mai iniziare a combattere contro l'Austria proprio nel giorno in cui è effettivamente entrata in guerra, il 14 maggio 1915. Vengono spesso citati gli ordigni che sono gli strumenti principali con i quali si combattono le guerre, e soprattutto, alla fine del capitolo, si ha un passo significativo che racchiude il pensiero dell'autore riguardo il tema della guerra: ‹‹Ma l'occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori dal suo corpo e se c'è stata salute e nobiltà in chi l'inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l'uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, ormai, l'ordigno non ha più alcuna relazione con l'arto. Ed è l'ordigno che crea la malattia con l'abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare››. Da questo brano si possono capire varie convinzioni e pensieri dell'autore: intanto con l'espressione "selezione salutare" si allude alla teoria della "selezione naturale" sostenuta da Darwin. Inoltre l'ordigno viene inteso come lo strumento dell'anima malcontenta dell'uomo che non si sa rapportare alla società che lo circonda e allora esterna così il suo disagio. Si può pensare che Svevo sia spaventato dal futuro, che vede buio e incerto, come dichiara nel saggio Sulla teoria della pace; se si deduce però che viene intimorito dagli esiti della guerra e dalle sue conseguenze, possiamo allora ritrovare una componente pessimistica nel suo romanzo, che ispira l'apocalisse di Zeno.

Nessuna terapia potrà mai guarire gli animi delle persone come lui, cioè degli inetti, e solo attraverso la distruzione del mondo si avrà la liberazione da questo senso di oppressione ed emarginazione che è l'inettitudine. Il tema della guerra viene ripreso da Svevo anche nella sfera dei rapporti umani, che sono spesso conflittuali o per lo meno interessati: lo scrittore arriva a sostenere che solo il rapporto con la madre si può considerare disinteressato e puro.

 

6. CONCLUSIONE


In conclusione possiamo dire che nella storia dell'umanità ci sono stati molti tipi di eroi: da quelli classici che erano il prototipo della bellezza e della forza, simbolo di perfezione; al superuomo dannunziano, individuo "vincitore" che riesce ad affrontare positivamente le situazioni e si distacca dalla mediocrità delle cose, ricercando l'affermazione nel contesto sociale. Infine siamo arrivati ad analizzare a fondo la figura dell'inetto sveviano affetto dalla "malattia del vivere" che non riesce a rapportarsi con la società e preferisce soccombere ad essa piuttosto che tentare di rapportarsi con lei.

Nella narrativa del secondo Novecento più volte i letterati hanno ripreso il modello dell'inetto sveviano, uno degli autori più significativi a tale proposito è Italo Calvino. Nel suo famoso libro Marcovaldo racconta le vicende di un uomo alle prese con la tecnologia e l'industrializzazione che gravano sulla società, una società frenetica e alle prese con il lavoro dove l'unica via di "salvezza" sembra un ritomo alla natura; infatti il protagonista del libro, appunto Marcovaldo, è continuamente alla ricerca della natura e spesso la rimpiange pensando a quando da piccolo lui abitava in campagna. Sicuramente il libro è stato scritto in chiave umoristica perché Marcovaldo sembra essere continuamente travolto volontariamente e non in delle disavventure o avventure quasi sempre inverosimili e con esito disastroso.

Il suo attaccamento alla natura è comunque eccessivo rispetto alle altre persone della città. Per fare un esempio una sera calda d'estate non riusciva a dormire e allora va a dormire nella panchina del parco sotto la luna, pensando così di godersi una splendida notte in santa pace; purtroppo per lui non è così, infatti viene svegliato prima da una giovane coppia che litiga, poi dal semaforo che continua a lampeggiare e infine dal camion della nettezza. Assonnato dopo la notte insonne e insoddisfatto dall'esito di questa si avvia a lavoro; vediamo un passo dal II capitolo, La villeggiatura in panchina: ‹‹Oh, potessi destarmi una volta al cinguettare degli uccelli e non al suono della sveglia e allo strillo del neonato Paolino e all'inveire di mia moglie Domitilla! [...] Peccato soltanto che a stare cosi, il suo sguardo non cadesse su di una prospettiva d'alberi e ciclo soltanto, in modo che il sonno gli chiudesse gli occhi su una visione di assoluta serenità naturale, ma davanti a lui si succedessero, in scorcio, un albero, la spada d'un generale dall'alto del suo monumento, un altro albero, un tabellone delle affissioni pubbliche, un terzo albero, e poi, un po' più lontano, quella falsa luna intermittente del semaforo che continuava a sgranare il suo giallo, giallo, giallo››.

Già da questo passo si può ritrovare quel senso di monotonia della vita e la voglia di spezzare la routine che però alla fine si rivela essere la decisione sbagliata, in quanto non riesce a risollevarsi dalla sua condizione di cittadino confinato in una metropoli; infatti quando crede di essere riuscito in questo viene subito riportato con i piedi per terra e capisce che il suo destino non potrà cambiare. I valori non sono più quelli di una volta: il coraggio, la virilità, la lealtà, ma sono stati sostituiti dalla voglia di potere e quindi dal denaro. A questo proposito, sempre nel libro di Calvino, c'è un capitolo in cui i figli di Marcovaldo intendono far soldi con i buoni-omaggio di prodotti per lavare i vestiti; questi però non ci riusciranno e il contenuto dei campioni-omaggio si riverserà tutto nel fiume generando un enorme bagno di schiuma. Purtroppo anche nella società attuale spesso conta solo il denaro, e l'affermazione personale si raggiunge solo quando si riesce a entrare a far parte di un mondo fondato sull'apparenza, il mondo della televisione; siamo di fronte - Svevo ne è un precursore e Calvino uno degli esempi più eclatanti - a una smitizzazione dei valori e dei miti classici.

Oggi si afferma solo chi ha successo e i giovani prendono a modello prototipi di uomo irraggiungibili e unici come il divo del cinema, il calciatore o la "velina". L'inetto sveviano invece non rincorre sogni di gloria o ambizioni impossibili, ma è un personaggio che, pur avendo smarrito la propria identità, cerca di "barcamenarsi" nelle insidie della vita quotidiana.
Non è né Rambo né Superman, ma una sorta di fratello di Marcovaldo che cerca, nonostante la sua condizione, di continuare a vivere risentendo però delle disgrazie e delle disavventure che gli capitano.

Montale definisce il protagonista di La coscienza di Zeno e i personaggi sveviani in generale come individui con malattie ereditate, come se la loro condizione sociale derivasse da eventi ormai passati, e li paragona all'Ulisse moderno, quello di Joyce: ‹‹La coscienza di Zeno è l'apporto della nostra letteratura a quel gruppo di libri ostentatamente internazionali che cantano l'ateismo sorridente e disperato del nuovissimo Ulisse: l'uomo europeo. Non è, si noti, che sian qui visioni cosmopolitiche, anime d'eccezione od altrettali risorse; ma queste borghesi figure di Svevo sono ben cariche di storia inconfessata, eredi di mali e di grandezze millenarie, scarti ed out-cast di una civiltà che si esaurisce in se stessa e si ignora. Più che l'eterna miseria inerente all'università degli uomini, "l'imbecillità" dei personaggi di Svevo è dunque un carattere proprio dei protagonisti di codesta nostra epoca turbinosa nota8››.

 

 

 

NOTE

1 - OMERO, Iliade, prefazione di F.Codino, traduzione di R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 2005

2 - Cfr.Salinari: ‹‹Pochi sono in grado di comprendere e di creare››

3 - Cfr. A.N. LEPSCHY, Come la parola sa varcare il tempo. tempo e narrazione nela Coscienza di Zeno, in EAD., Narrativa e teatro fra due secoli: Verga, Invernizio, Svevo, Pirandello, Firenze, Olschki, 1984

4 - ‹‹U.S.›› sta per "ultima sigaretta"

5 - Un personaggio che guida i cavalieri da Turno per portargli un messaggio

6 - Come risulta da una lettera scritta da Svevo ad Attilio Frescura del 10 Gennaio1923

7 - I. SVEVO, Sulla teoria della pace, in A. CAVAGLION, Italo Svevo, Milano, Bruno Mondadori, 2000

8 - E. MONTALE, Un "caso" singolare, in Il caso Svevo, a cura di E. Ghidetti, Roma-Bari, Laterza, 1993, p.38

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA
I. SVEVO, Senilità, a cura di M. Lunetta, Roma, Newton & Compton, 1994.
I. SVEVO, La coscienza di Zeno, introduzione di G. Contini, prefazione di E. Saccone, Milano, Garzanti, 2003.
I. SVEVO, Una vita, a cura di P. Sarzana, introduzione di F. Gavazzeni, Milano, Mondadori, 2001.
I. CALVINO, Marcovaldo, Milano, Mondadori, 1993.
E. MONTALE, II caso Svevo, a cura di E. Ghidetti, Roma-Bari, Laterza, 1993.
G. D'ANNUNZIO, II Piacere, Milano, Mondadori, 2002.
A. CAVAGLION, Italo Svevo, Milano, Bruno Mondadori, 2000.
OMERO, Iliade, prefazione di F. Codino, traduzione di R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 2005.
OMERO, Odissea, prefazione di F. Codino, traduzione di R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 2005.
PUBLIO VIRGILIO MARONE, Eneide, introduzione e traduzione di R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 2005.