Joan Baez - Last Night I Had the Strangest Dream

Bob Dylan - Masters of War

Bob Dylan - Let Me Die in My Footsteps

John Lennon - Imagine

John Lennon - Give Peace a Chance

Pink Floyd- Waiting for the Worms

Dire Straits - Brothers in Arms

Fabrizio De Andrè - La guerra di Piero

Francesco De Gregori - Generale

Francesco Guccini - Noi non ci saremo

Francesco Guccini - Dio è morto

 

Joan Baez

Last Night I Had the Strangest Dream

Last night I had the strangest dream,
I ever had before,
I dreamed the world had all agreed,
To put an end to war.
I dreamed there was a mighty room,
And the room wasfilled with meti,
And the paper they were signing
Said they neverfight again.
And when the paper was all signed,
And a million copies made,
They all joined hands and circled 'round,.
And grateful prayers were made.
And the people on the streets below
Were dancing 'round and 'round,
With swords and guns and uniforms
All scattered on the ground. (…)

La scorsa notte ho fatto il sogno più strano,
Il più strano che abbia mai fatto,
Ho sognato che il mondo intero si era accordato
Per farla finita con la guerra.
Ho sognato che c'era una stanza imponente,
E la stanza era zeppa di persone.
E le carte che stavano firmando
Dicevano che non avrebbero più combattuto.
E quando tutte le carte erano state firmate,
E ne erano state fatte un milione di copie,
Tutti loro si erano presi per mano e avevano fatto un girotondo,
E si erano fatte preghiere di gratitudine.
E la gente laggiù nelle strade
Stava danzando tutt'intorno,
Con spade e pistole e uniformi
Tutte sparpagliate per terra. (...)

 

Last Night I Had the Strangest Dream è una canzone che parla di sentimenti: la cantante è artisticamente legata al repertorio folk tradizionale con la straordinaria intensità canora e strumentale; è politicamente antimilitarista, nonviolenta e pacifista, al punto da riempire buona parte del proprio repertorio con tali tematiche. Lei stessa in proposito dice: "Avevo raggiunto il successo, la popolarità, ma ero come ossessionata da un breve saggio pacifista che avevo scritto all'età di quattordici anni... Così sentivo che dovevo e potevo fare qualcosa di più, nella mia vita, invece che limitarmi a cantare... Ero in grado di guadagnare una montagna di dollari, ma soprattutto ero anche in grado di parlare a una marea di persone... Ci volle un po' di tempo, ma alla fine sono riuscita a coniugare il mio successo artistico con il mio impegno sociale...".

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Bob Dylan

Masters of War

Come you masters of war
You that build all the guns
You that build the death planes
You that build the big bombs
You that hide behind walls
You that hide behind desks
I just want you to know
I can see through your masks.
You that never done nothin'
But build to destroy
You play with my world
Like it's your little toy
You put a gun in my hand
And you hide from my eyes
And you turn and run farther
When the fast bullets fly.
You fasten the triggers
For the others to fire
Then you set back and watch
When the death count gets higher
You hide in your mansion
As young people's blood
Flows out of their bodies
And is buried in the mud.(…)

Avanti, maestri della guerra
Voi che costruite tutti i cannoni
Voi che costruite i letali aerei
Voi che costruite le grandi bombe
Voi che vi nascondete dietro muri
Voi che vi nascondete dietro scrivanie
Voglio soltanto che sappiate
Che posso vedere attraverso le vostre maschere.
Non avete mai fatto niente
Ma costruito per la distruzione
Voi giocate col mio mondo
Come fosse un vostro giocattolino
Mi mettete in mano un fucile
E vi nascondete al mio sguardo
E vi girate e ve la battete
Quando volano i proiettili.
Voi mettete il colpo in canna
Perché gli altri sparino
Poi vi fate indietro e osservate
Mentre il conto dei morti aumenta
Vi nascondete nei vostri palazzi
Mentre il sangue dei giovani
fluisce dai loro corpi
E sprofonda nel fango.

 

L'antimilitarismo dylaniano in Masters of War si ispira soprattutto sul noto assunto che nella storia ha sempre mosso i "Signori della Guerra": "Armiamoci e partite...". I potenti preparano e dichiarano le guerre, e i ragazzi le devono combattere con il proprio sangue, sacrificandovi le proprie vite innocenti.
L'idea che quindi campeggia è che in fondo la guerra è e sarà sempre un'imposizione di coloro che stanno in alto, dei burattinai che tengono i fili, perché in fondo noi tutti siamo delle marionette nelle mano di chi governa, e, purtroppo, il nostro destino sta nelle mani di questi burattinai che giocano alla guerra sulla nostra pelle. Masters of War diviene così una lunga invettiva, diretta come una denuncia, al tempo di un ritmo cantilenante e ipnotico, caratterizzato da un'armonica graffiante come una lama.
Mai, prima di allora, dalla ribalta del pop si era ascoltata una canzone di denuncia così esplicitamente polemica. Per attaccare frontalmente i "Signori della Guerra", Bob Dylan si fa accusatore pieno di rabbia, abbandonando qualunque forma di lirismo allegorico, qualunque tipo di introspezione, e scrive e canta un testo in grado di contrapporsi agli atroci soprusi del potere.

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Bob Dylan

Let Me Die in My Footsteps

(...) There's been rumours of war and wars that have been
The meaning of life has been lost in the wind
And some people thinkin' that the end is close by
'Stead of learnin' to live they are learning to die. (...)
I don't know if I'm smart but I think I can see
When someone is pullin' the wool over me
And if this war comes and death's all around
Let me die on this land 'fore I die underground. (...)
There's always been people that have io cause fear
They've been talking of the war now for many long years
I have read all their statements and I've not said a word
But now Lawd God, let my poor voice be heard. (...)
If I had rubies and riches and crowns
I'd be buy the whole world and change things around
I'd throw all the guns and the tanks in the sea
For they are mistakes of a past history.
Let me die in myfootsteps
Before I go down under the ground (…)

(...) Ci sono state voci di guerra e guerre avvenute
Il senso della vita è stato perso nel vento
E alcune persone pensano che la fine sia prossima
Invece di imparare a vivere stanno imparando a morire. (...)
Non so se sono intelligente ma penso di capire
Quando qualcuno mi sta imbrogliando
E se viene questa guerra e la morte è tutt'attorno
Lasciatemi morire su questa terra prima di morire sottoterra. (...)
Ci sono sempre state persone che dovevano provocare la paura
Ci stanno parlando di guerra da molti anni ormai
Ho letto tutte le loro dichiarazioni e non ho mai detto una parola
Ma adesso, Santo Dio, lascia che la mia povera voce venga ascoltata. (...)
Se avessi gioielli, ricchezze e corone
Comprerei il mondo intero e cambierei tutte le cose
Getterei in mare tutti i cannoni e i carri armati
Perché sono errori di una storia passata.
Lasciatemi morire sui miei passi
Prima che io finisca sottoterra. (...)

 

In Let Me Die in My Footsteps il tema antimilitarista è affrontato da Bob Dylan a partire da una originale e suggestiva intuizione quasi prospettica: una invocazione significativa ("Lasciatemi morire sui miei passi") che è anche e soprattutto una invocazione alla vita, trattata efficacemente nelle due strofe finali del brano. Una vita che presuppone sicuramente la morte, ma è minacciata nel suo divenire equilibrato dal militarismo e dalla corsa agli armamenti, cioè per mano di chi vive la propria esistenza preparando la morte di altri esseri umani, la distruzione della natura, e dello stesso futuro della specie umana; attraverso le parole di uno dei tanti soldati, oppresso dalle assurde decisioni di chi sta in alto, viene espresso il desiderio di anticipare la fine, scegliendo dove morire e non farselo imporre dalle circostanze della guerra.

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John Lennon

Imagine

(...) Imagine there's no countries
It isn't hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace.
Imagine there's no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world.
You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope some day
You'll join us
And the world will be as one
Live as one.

Immagina non ci siano Paesi
Non è difficile da fare
Niente per cui uccidere o morire
E neppure religione
Immagina tutta la gente
Vivere in pace la vita.
Immagina che non ci siano proprietà
Mi chiedo se ci riesci
Nessun bisogno di cupidigia o brama
Una fratellanza dell'uomo
Immagina tutta la gente
Condividere tutto il mondo.
Puoi dire che sono un sognatore
Ma io non sono il solo
Spero che un giorno
Ti unirai a noi
E il mondo sarà unito
Vivrà unito.

 

Imagine può certamente essere considerato il momento artistico più ricco e felice dell'intera carriera da solista di John Lennon, grazie a un perfetto equilibrio tra splendida melodia e concetti. Una lenta ballata acustica accompagna un testo lieve ma denso, tagliato su misura per un pacifismo, anche se utopico, che arriva a rendersi filosofia esistenziale.
Lennon immagina un mondo in cui la pace regna sovrana, in cui gli uomini possano vivere uniti, liberi da qualsiasi brama o desiderio di potere o di possesso, la guerra non esiste, un mondo nuovo, diverso.
La canzone si scioglie in un'accorata preghiera di fratellanza, una sommessa invocazione di "amore cosmico", di pace per sempre, un eccellente momento di cultura pacifista popolare, in questo caso giocato sull'atmosfera melodica ed evocativa invece che sullo slogan collettivo.

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John Lennon

Give Peace a Chance

(…) Everybody's talking about
Ministers, Sinisters,
Banisters and Canisters.
Bishops and Fishops.
Rabbis and Popeyes
Bye bye bye byes
All we are saying
Is give peace a chance
All we are saying
Is give peace a chance
C'mon
Let me tell you now
Oh, let's stick to it
All we are saying
Is give peace a chance."
Everybody's talking about
Revolution, Evolution
Mastication, Flagellation,
Reguations, Integrations,
Meditations, United Nations,
Congratulations
All we are saying
Is give peace a chance
All we are saying
Is give peace a chance
Let me tell you now
Oh, let's stick to it
All we are saying
Is give peace a chance (...)

(...) Tutti stanno parlando di
Ministri, Sinistri,
Ringhiere e Mitragliere,
Vescovi e Pescherie,
Rabbini e Bracci-di-Ferro,
Arrivederci, arrivederci.
Tutto ciò che stiamo dicendo
È date una possibilità alla pace
Tutto ciò che stiamo dicendo
È date una possibilità alla pace
Avanti
Ora lasciate che vi dica
Oh, attaccatevi a essa
Tutto ciò che stiamo dicendo
È date una possibilità alla pace.
Tutti stanno parlando di
Rivoluzione, Evoluzione,
Masticazione, Flagellazione,
Regolazioni, Integrazioni,
Meditazioni, Nazioni Unite,
Congratulazioni.
Tutto ciò che stiamo dicendo
È date una possibilità alla pace
Tutto ciò che stiamo dicendo
È date una possibilità alla pace
Ora lasciate che vi dica
Oh, attaccatevi a essa
Tutto ciò che stiamo dicendo
È date una possibilità alla pace (...)

 

Le sconclusionate e casuali "premesse" al ritornello sono tutte giocate su una surrealtà sarcastica, e lo stesso ritornello diviene una cantilenante invocazione da nenia orientaleggiante - ma è proprio la concettualità sloganistica che farà la fortuna di questo brano, tanto privo di intrinseco valore letterario e musicale quanto così efficacemente corale, orecchiabile, reiterato come una filastrocca.

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Pink Floyd

Waiting for the Worms

(...) Walk on by
Sitting in a bunker here behind my wall
In perfect isolation here behind my wall
Waiting for the worms to come
Waiting to cut up the deadwood
Waiting to clean up the city
Waiting to follow the worms
Waiting to put on a black shirt
Waiting to weed out the weaklings
Waiting to smash in their windows (…)
Waiting to follow the worms
Waiting to turn on the showers
And fire the ovens
Waiting for the queers and coons
And the Reds and the Jews
Waiting to follow the worms
Would you like to see Britannia
Rule again, my friend? (…)

Passeggio
Seduto in un bunker, qui, dietro il mio muro
Aspetto che arrivino i vermi
In perfetto isolamento, qui, dietro il mio muro
Aspetto di abbattere i "rami secchi"
Aspetto di ripulire la città
Aspetto di seguire i vermi
Aspetto di indossare una camicia nera
Aspetto di sterminare i deboli
Aspetto di frantumare le loro finestre (...)
Aspetto di seguire i vermi
Aspetto di aprire le docce
E accendere i forni
Aspetto le checche e i negri
E i Rossi e gli Ebrei
Aspetto di seguire i vermi
Ti piacerebbe vedere la Britannia
Dominare ancora, amico mio? (...)

 

La canzone tratta dall'album "The Wall" introduce un simbolo: i vermi, immagine repellente e viva del totalitarismo militarista e della sua azione infida e distruttiva. L'allegoria concettuale di Waters (autore della canzone e bassista dei Pink Floyd) sembra ormai arrivata a compimento: l'alienazione porta alla chiusura, la chiusura conduce alla solitudine, la solitudine alla disgregazione; la disgregazione, infine, è l'anticamera del fascismo (in quest'ottica: fascismo = morte), con i suoi immondi vermi, famelici e brulicanti. Questo è ciò che accade al di qua del muro (questo porta la presenza opprimente del proprio personale muro). Waters arriva a conferire al suo lavoro una dimensione propriamente politica partendo semplicemente dalla ricerca di un'alienazione individuale, in più parti descritta semplicemente come un disagio esistenziale. Senza facili slogan, Waters arriva alla conclusione con un progredire consequenziale, e la conclusione è sempre e solo una: la violenza, la guerra, la morte, con trasparenti richiami storici al nazismo e all'imperialismo colonizzatore.

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Dire Straits

Brothers in Arms

These mist covered mountains
Are a home now for me
But my home is the lowlands
And always will be
Some day you'll return
To your valleys and your farms
And you'll no longer burn
To be brothers in arms.
Through these fields of destruction
Baptism's of fire
I've watched all your suffering
As the battle raged higher
And though they did hurt me so bad
In the fear and alarm
You did not desert me
My brothers in arms. (...)
Now the sun's gone to hell
And the moon's riding high
Let me bid you farewell
Every man has to die
But it's written in the starlight
And every line on your palm
We're fools to make war on
Our brothers in arms. (…)

Queste montagne coperte di nebbia
Ora per me sono una casa
Ma la mia casa sono le pianure
E sarà sempre così
Un certo giorno si tornerà
Alle proprie valli e alle proprie fattorie
E non si brucerà più
Nell'essere fratelli in armi.
Attraverso queste lande di distruzione
Battesimo del fuoco
Ho osservato tutte le vostre sofferenze
Mentre la battaglia infuriava
E anche se mi ferissero gravemente
Nella paura e nello spavento
Non mi farai abbandonare
I miei fratelli in armi. (...)
Ora il sole se n'è andato all'inferno
E la luna si sta levando alta
Lascia che ti dica addio
Ogni uomo deve morire
Ma sta scritto nelle stelle
E in ogni linea del tuo palmo
Che siamo pazzi a fare la guerra
Ai nostri fratelli in armi. (...)

 

Il testo di Brothers in Arms è in sostanza una riflessione, un ennesimo ed estremo grido d'allarme per i destini dell'uomo, di un'umanità che non sa trovare una fratellanza autentica in grado di fronteggiare la caducità dell'esistenza, e sembra più votata a perseguire distruzione e morte piuttosto che costruzione e vita.
Viene sottolineata l'assurdità della guerra che pone davanti non dei nemici, non degli avversari ma dei fratelli, dei fratelli in armi, tutti lì per chissà quale motivo, tutti pronti a morire, senza buoni o cattivi, vincitori o vinti ma solo dei fratelli, fratelli in armi!

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Fabrizio De Andrè

La guerra di Piero

Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi

lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente

così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l'inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve

fermati Piero , fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce

ma tu no lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera

e mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore

sparagli Piero , sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue

e se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore

e mentre gli usi questa premura
quello si volta , ti vede e ha paura
ed imbracciata l'artiglieria
non ti ricambia la cortesia

cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato

cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno

Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all'inferno
avrei preferito andarci in inverno

e mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole

dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall'ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.

 

La guerra di Piero è la più celebre ballata antimilitarista dell'intera canzone italiana, un brano scritto da Fabrizio De Andrè alla fine degli anni Sessanta, quando - particolarmente negli Stati Uniti - prendeva corpo nei movimenti giovanili l'avversione totale alla guerra, a qualunque guerra.
Nel testo viene descritto quel particolare meccanismo per cui a combattere, qualsiasi sia la guerra in questione, si ritrovino sempre di fronte quelli che con la guerra hanno meno a che fare, quelli che non l' hanno cercata, quelli che non l' hanno voluta, da una parte e dall'altra, in fondo uguali ma con "la divisa di un altro colore". Altro punto su cui si sofferma De Andrè è la stagione in cui Piero combatte e muore, maggio, il trionfo della primavera, la natura si risveglia i fiori sbocciano in antitesi con l'idea della morte, inverno della vita e sua fine.
La straordinarietà di questo brano, l'efficacia con cui è reso l'assunto, ne fanno qualcosa di ben diverso da un generico inno alla pace. Nessun aspetto dell'aberrazione militaresca e guerrafondaia è sottaciuto. I versi finali sono uno dei momenti più alti della poesia del grande cantautore genovese recentemente scomparso, e suggella magistralmente un momento musicale che ha fatto epoca e che ha fatto storia.

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Francesco De Gregori

Generale

Generale dietro alla collina, ci sta la notte crucca ed assassina
e in mezzo al prato c'e' una contadina, curva sul tramonto sembra una bambina
di cinquant'anni e di cinque figli, venuti al mondo come conigli
partiti al mondo come soldati e non ancora tornati.

Generale dietro la stazione, lo vedi il treno che portava al sole
non fa più fermate neanche per pisciare si va dritti a casa senza più pensare
che la guerra e' bella anche se fa male che torneremo ancora a cantare
e a farci fare l'amore l'amore dalle infermiere.

Generale la guerra e' finita il nemico e' scappato e' vinto e' battuto
dietro la collina non c'e' più nessuno solo aghi di pino e silenzio e funghi
buoni da mangiare buoni da seccare da farci il sugo quando viene Natale
quando i bambini piangono e a dormire non ci vogliono andare.

Generale queste cinque stelle queste cinque lacrime sulla mia pelle
che senso hanno dentro al rumore di questo treno che e' mezzo vuoto
e mezzo pieno e va veloce verso il ritorno, tra due minuti e' quasi giorno
e' quasi casa e' quasi amore.

 

Si tratta di un brano contro la guerra che affronta il tema in maniera indiretta, secondo lo stile consueto di De Gregori. È un reduce che racconta, rivolgendosi a chi sostiene la guerra "bella" e "utile"; il contraddittorio è mesto e quasi umile, centrato sulla concretezza delle cose piuttosto che sulle idee.
La canzone rappresenta uno dei momenti più felici dell'espressione politico-artistica di DE Gregori, il quale abbandona per un momento la canzonetta e si riappropria totalmente del ruolo di cantautore impegnato che attraverso la musica riesce ad esprimere con parole in forma di poesia concetti e prese di posizione rispetto al reale, anche se qui, forse, più che la critica alla guerra, quella critica che indaga le cause e d i perché, prevale maggiormente il senso gioioso di una guerra finita che fa scordare le rabbie ed i rancori nei confronti dell'espressione più inumana dell'Umanità.

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Francesco Guccini

Noi non ci saremo

Vedremo soltanto una sfera di fuoco,
più grande del sole, più vasta del mondo;
nemmeno un grido risuonerà e solo il silenzio come un sudario si stenderà
fra il cielo e la terra, per mille secoli almeno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

Poi per un anno la pioggia cadrà giù dal cielo
e i fiumi correranno la terra di nuovo
verso gli oceani scorreranno e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
e in alto nel cielo splenderà l'arcobaleno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E catene di monti coperte di nevi
saranno confine a foreste di abeti:
mai mano d' uomo le toccherà, e ancora le spiagge risuoneranno delle onde
e in alto, lontano, ritornerà il sereno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E il vento d'estate che viene dal mare
intonerà un canto fra mille rovine,
fra le macerie delle città, fra case e palazzi che lento il tempo sgretolerà,
fra macchine e strade risorgerà il mondo nuovo,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo.

E dai boschi e dal mare ritorna la vita,
e ancora la terra sarà popolata;
fra notti e giorni il sole farà le mille stagioni e ancora il mondo percorrerà
gli spazi di sempre per mille secoli almeno,
ma noi non ci saremo, noi non ci saremo,
ma noi non ci saremo...

 

La canzone è inclusa nel primo album di Francesco Guccini (1966): si tratta di un testo dal puro assunto protestatario in chiave antimilitarista e antinucleare.
Guccini descrive un mondo disabitato, distrutto dalle guerre, le città di cui rimangono solo delle macerie che il tempo sgretolerà, parla di un mondo in cui l'uomo (ovvero l'uomo di adesso, che ha provocato quella catastrofe con le sue assurde guerre, con l'uso del nucleare) non ci sarà più, ma la Terra continuerà nel suo naturale moto di rivoluzione, nel ciclo delle stagioni, e così la vita rinascerà.
Non si tratta quindi della "fine dell'Umanità": nella strofa finale, infatti, la Terra torna a popolarsi, altri mille secoli si apriranno all'orizzonte, il pessimismo storico essendo infine superato dall'ottimistica fiducia di fondo nelle risorse della Natura e dell'Uomo.

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Francesco Guccini

Dio è morto

Ho visto
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son bagnate,
dentro alle stanze da pastiglie trasformate,
lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città,
essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
e un dio che è morto,
ai bordi delle strade dio è morto,
nelle auto prese a rate dio è morto,
nei miti dell' estate dio è morto...

Mi han detto
che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la fede,
nei miti eterni della patria o dell' eroe
perchè è venuto ormai il momento di negare
tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura,
una politica che è solo far carriera,
il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto,
l' ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
e un dio che è morto,
nei campi di sterminio dio è morto,
coi miti della razza dio è morto
con gli odi di partito dio è morto...

Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi,
perchè noi tutti ormai sappiamo
che se dio muore è per tre giorni e poi risorge,
in ciò che noi crediamo dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo dio è risorto,
nel mondo che faremo dio è risorto...


Il brano di Guccini (1967) fece scalpore per il suo assunto radicalmente "sovversivo" rispetto ai valori della italica e bigotta società costituita.
Guccini affronta uno ad uno i tratti caratteristici della società di allora, quella italiana ma non solo, e uno ad uno li smonta e li azzera, dalla politica, quella vuota del perbenismo, al desiderio e alla convinzione di risolvere tutto con la guerra, portando un'aspra critica che pian piano però spiana la strada all'idea di rinnovamento, di nuovi valori secondo la metafora del Dio morto ma che dopo tre giorni è risorto, secondo la consuetudine per cui dopo aver toccato il fondo non si può far altro che risalire.

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