ENTRIAMO IN MERITO AD ALCUNI IMPORTANTI CONFLITTI
Con l’indipendenza della Cecenia nel 1991 la Russia aveva perso il controllo su un’area di enorme importanza strategica, in quanto ricca di giacimenti petroliferi e di gas naturale e soprattutto attraversata da importantissimi oleodotti e gasodotti. La sua riconquista, anche per non perdere un importante avamposto nell’Asia centrale (sempre più in mano a leadership musulmane filoccidentali), era un imperativo per Mosca. Le sue truppe invasero la Cecenia nel 1994, ma la resistenza delle milizie guidate da Basayef non venne piegata. Nel 1996 i russi presero atto della sconfitta, costata loro migliaia di vittime, e si ritirarono. 100mila i morti ceceni.
Il nuovo premier russo Putin, voglioso di rivincita, reinvade la Cecenia nell’ottobre del 1999. Il pretesto è che i ceceni appoggiano gli indipendentisti islamici in Dagestan, altra repubblica strategica ancora sotto il controllo di Mosca. Gli attacchi russi sono questa volta violentissimi. La capitale Grozny viene bombardata fino alla distruzione. L’aviazione russa utilizza anche armi chimiche e le truppe di terra commettono atroci violenze contro la popolazione civile. I ribelli ceceni resistono nella parte meridionale del Paese, dove ora si concentrano le operazioni belliche delle forze armate russe.
IRLANDA DEL NORD
La lotta per l’indipendenza dell’Irlanda del Nord, cattolica e repubblicana, dal governo monarchico e protestante di Londra ha radici secolari.
L’attenzione su questo conflitto si accende a partire dal 1920 quando l’Esercito Repubblicano Irlandese (IRA) decide di iniziare la lotta nei territori dell’Ulster che, a differenza dell’Eire, sono rimasti nelle mani di sua maestà. L’IRA (braccio armato del Scinn Fein) è uno degli eserciti clandestini più organizzati e militarmente efficaci del mondo, così la guerriglia diventa ben presto una realtà quotidiana in Irlanda del Nord. I cattolici indipendentisti e i protestanti unionisti (appoggiati dai soldati inglesi) si fronteggiano a colpi di granate, attentati e lanci di pietre. La tensione sale alle stelle quando negli anni 70 il governo inglese decide di incrementare la propria presenza militare in Irlanda e di adottare una linea dura. Nell’Ulster è praticamente guerra. Non mancano massacri di popolazione civile, come il cosiddetto “Bloody Sunday”, quando durante una manifestazione a Derry, il 30 gennaio 1972, i paracadutisti inglesi aprono il fuoco su migliaia di persone, uccidendone 14.
Tra attentati dell’IRA e repressione militare, dal 1976 si contano oltre 3mila morti. Solo nel 1992 vengono avviate, nonostante il livello dello scontro non accenni a calare, le prime trattative segrete tra Sinn Fein e la controparte. Il 31/8/1994, con la decisione dell’I.R.A. di attuare una “completa cessazione delle operazioni militari a tempo indeterminato” , si avvia ufficialmente il processo di pace grazie alla cooperazione di Gerry Adams, leader del Sinn Fein, Martin McGuinness, uno dei capi carismatici dell’I.R.A., John Hume, leader del Partito Socialdemocratico e Laburista dell’Ulster, John Major, Primo Ministro britannico succeduto alla Thatcher e conservatore come lei ma che ha capito come non sia più possibile continuare in modo ostinato una guerra civile che dal ‘69 ha fatto circa 3.300 morti e 38.000 feriti e infine Albert Reynolds, Primo Ministro irlandese e leader del partito Fianna Fail. L’evento può essere di portata storica perché mai fino a quel momento il governo inglese ha riconosciuto la legittimità del Sinn Fein a sedere al tavolo delle trattative come rappresentante degli interessi cattolici, ma viene posta una condizione che a molti irlandesi sembra inaccettabile: L’IRA deve consegnare le armi. Si entra così in una fase di stallo. Siamo nel 1996.
La situazione si sblocca un anno dopo con la dichiarazione di pace e il cessate il fuoco. Attualmente le cose si stanno complicando. Nonostante Blair abbia indicato il “problema irlandese” come una priorità nel suo programma, gli scontri a Belfast (e non solo) si sono riaccesi. Alcune frange dell’IRA non hanno aderito al cessate il fuoco e da parte lealista le provocazioni sono continue. Gli estremisti Orangisti (protestanti unionisti) scatenano spesso scontri e violenze. Esemplare il caso recente dell’aggressione (con lanci di bottiglie e sassi) alle bambine cattoliche mentre vanno a scuola.
Nel 1512 le truppe castigliane conquistarono con le armi il Regno di Navarra. A partire da quel momento, il Paese Basco si è trovato diviso fra lo Stato Francese e quello spagnolo. La parte nord (Lapurdi, Bassa Navarra e Zuberoa) ha mantenuto le proprie istituzioni sino alla rivoluzione francese, che le ha abolite malgrado la resistenza basca. Nel sud, le Cortes (camere) della Navarra si riunirono per l’ultima volta nel 1829, poco prima delle guerre carliste che portarono alla perdita di tutte le istituzioni, leggi e costumi propri. Per anni, l’emblema basco è stato rappresentato da Gernika; nel 1937, il generale fascista Franco fece bombardare dall’aviazione nazista la città, durante un giorno di mercato: con questo gesto si è voluto infrangere la storia e dare un castigo esemplare al popolo basco ed alle sue ansie di libertà.
Nel dicembre 1958 nasce ETA, Euskadi Ta Askatasuna (Patria Basca e Libertà), l’organizzazione che, ancora oggi, porta avanti la resistenza armata contro lo Stato spagnolo, mentre nella parte di Paese Basco sotto amministrazione francese è attiva l’organizzazione Iparretarrak.
Quando nel 1978 lo Stato spagnolo si è dotato di una Costituzione, questa è stata respinta dalla maggioranza dei Baschi in un referendum. La ragione di questa scelta è che Madrid si rifiuta di riconoscere i diritti più elementari del popolo basco: il Diritto all’Autodeterminazione e all’Unità Territoriale.
Dalla fine della dittatura franchista ad oggi tutti i tentativi di negoziare una soluzione pacifica del conflitto sono falliti; l’ultima occasione che si è presentata è costituita dalla tregua unilaterale osservata da ETA dal settembre 1998 alla fine di ottobre 1999, durante questo periodo la repressione è proseguita, colpendo addirittura i delegati alla negoziazione con il governo spagnolo.
Dopo diversi comunicati nei quali l’organizzazione armata denunciava l’inesistente volontà di soluzione del conflitto da parte dello Stato spagnolo e lo scarso impegno in questo senso del nazionalismo basco moderato, ETA dichiarava conclusa la tregua ed iniziava una nuova campagna di azioni armate (omicidi politici e attentati), tuttora in corso.
Nel 1997 l’Alleanza delle Forze Democratiche per la Liberazione (ADFL) guidata da Kabila ha conquistato Kinshasa e rovesciato la trentennale dittatura di Mobutu. Ma nel 1998, ribelli Tutsi, organizzati in gruppi armati come il Raggruppamento Congolese per la Democrazia (RCD), fiancheggiato dai soldati ruandesi, e il Movimento di Liberazione del Congo (MLC), appoggiato invece dalle forze armate ugandesi, hanno iniziato una dura lotta contro le fazioni fedeli al presidente Kabila, spalleggiato a sua volta dagli eserciti di Angola, Namibia e Zimbabwe.
Una “Guerra Mondiale Africana”, come è stata definita, che vede combattersi sul territorio congolese gli eserciti regolari di ben sei Paesi per una ragione molto semplice: il controllo dei ricchi giacimenti di diamanti, oro e coltan del Congo orientale. Il Congo si è così ritrovato diviso in una parte orientale controllata dai ribelli e una occidentale ancora in mano alle truppe di Kabila. Almeno 350mila le vittime dirette di questo conflitto, 2 milioni e mezzo contando anche i morti per carestie e malattie causate dal conflitto.
Il processo di pace è stato avviato nel luglio del 1999 con la firma dell’accordo internazionale di Lusaka, ma sul campo i combattimenti non sono mai cessati. nemmeno dopo che le nazioni coinvolte nel conflitto hanno iniziato a ritirare i propri eserciti regolari nel febbraio 2001 e i caschi blu del contingente MONUC (Missione ONU in Congo) sono arrivati per sorvegliare la tregua.
A combattersi ora sono, da una parte, una mutevole schiera di gruppi ribelli tutsi appoggiati dagli eserciti di Ruanda e Uganda (MLC e RCD), e dall’altra le milizie tribali che prima combattevano in appoggio alle truppe governative congolesi, guerrieri come i Mai Mai, i Donos e i Kamajors (federati nelle FDD: Forze per la Difesa della Democrazia) e i miliziani hutu Interahamwe ruandesi, rifugiatisi nelle foreste del Congo orientale nel 1994 dopo aver compiuto il tremendo genocidio di oltre mezzo milione (forse 800mila) di tutsi ruandesi..
Cambiamenti di fronte e di alleanze sono la costante: star dietro al continuo nascere e morire di nuove sigle di gruppi combattenti è davvero un’impresa.
Soprattutto dalla parte dei ribelli tutsi filo-ruandesi/ugandesi, che ultimamente si combattono anche tra di loro. La contrapposizione più forte è ora tra l’MLC (Movimento di Liberazione del Congo) di Jean Pierre Bemba e l’RCD-K (Raggruppamento Congolese per la Democrazia-Kisangani) di Mbusa Nyamwisi, precedentemente alleati nell’FLC (Fronte di Liberazione del Congo). Alleato di Jean Pierre Bemba è attualmente Roger Lumbala e il suo RCD-N (Raggruppamento Congolese per la Democrazia-Nazionale).
Strettamente collegato alla ribellione congolese è il conflitto etnico tra gli Hema e i Lendu, che si combattono (con migliaia i vittime) dal giugno del 1999 nella regione dell’Ituri, nel nord-est del Paese, territorio affidato al controllo dell’esercito ugandese. Il Congo accusa quest’ultimo di fomentare tali scontri etnici al fine di giustificare la propria permanenza nella regione e di continuare a sfruttare l’economia locale acquistando concessioni per l’estrazione dell’oro e per la raccolta del legno pregiato.
ANGOLA
In Angola, paese dell'Africa meridionale ricco di petrolio e materie prime, dal 11 novembre 1975, giorno della sua indipendenza dai portoghesi, a neanche un mese fa, non c'è stato un solo giorno di pace. Una delle ragioni della quasi trentennale guerra civile e una delle principali fonti di finanziamento dei ribelli dell'Unita sono stati i diamanti, di cui il Paese è ricchissimo e il petrolio: queste risorse dovranno ora trovare una gestione corretta e trasparente per garantire la stabilità al Paese.
I 27 anni di guerra civile in Angola hanno provocato, secondo stime non ufficiali, un milione di morti e quattro milioni di profughi (un terzo della popolazione totale). Da una parte il partito di governo marxista Mpla, sostenuto da Urss e Cuba; dall'altra i guerriglieri anticomunisti del movimento di liberazione Unita (Unione per l'indipendenza totale dell'Angola) armati da Stati Uniti, Sudafrica e dallo Zaire (oggi Congo). Già in due precedenti occasioni le parti in conflitto avevano provato a raggiungere senza successo un'intesa. Un debole accordo di pace nel 1991 era stato subito violato dall'Unita che nelle elezioni del 1992 non aveva accettato i risultati elettorali. Un secondo accordo di pace nel 1994 (accordo di Lukasa) aveva subito la stessa sorte: non avendo trovato alcun rispetto da parte dei guerriglieri dell'Unita che controllavano la maggior parte dell'est del paese e i suoi diamanti, tanto che il Consiglio di sicurezza dell'Onu fu costretto a votare l'imposizione di alcune sanzioni.
Finalmente lo scontro ha trovato una soluzione con il cessate il fuoco, firmato lo scorso 11 aprile, dopo quindici giorni di colloqui tra soldati. Gli sviluppi dell'attuale processo di pace sono seguiti all'uccisione, avvenuta il 22 febbraio scorso, da parte dei militari governativi, del leader storico dell'Unita, Jonas Savimbi, il "leone" d'Angola, fondatore dell'Unita, caduto in battaglia, all'età di 67 anni, nella provincia di Moxico, circa 700 chilometri a sud-est della capitale Luanda, dove fin dall'ottobre scorso le truppe governative avevano intensificato la caccia all'uomo. Savimbi, prima maoista poi anticomunista , sospettato di essere al servizio dei portoghesi e poi eroe dell'indipendenza da Lisbona, leader nero, ma finanziato dal Sudafrica bianco e razzista, per trent'anni, sembrava indomabile, capace di resistere persino alla fine della Guerra Fredda e all'abbandono degli Stati Uniti, i sostenitori di un tempo. Alla notizia della sua morte tutti gli abitanti della capitale Luanda scesero in strada a festeggiare.
In un Paese straziato e diviso dai tempi della lotta per l'indipendenza contro il Portogallo, la scomparsa di Jonas Savimbi ha posto le basi per l'apertura di un nuovo dialogo con i funzionari dell'Unita. A questo punto in Angola ci sono tutte le condizioni per la nascita di un forte partito d'opposizione e l'Unione per l'indipendenza totale dell'Angola Renovada (Unita-Renovada), la formazione politica nata dal gruppo guerrigliero omonimo, dal quale si staccò nel 1998 con l'intento di promuovere la pace nel Paese, chiede ora l'organizzazione di un congresso per eleggere una nuova dirigenza che prenda le redini dell'opposizione.
La riorganizzazione dell'Unita appare un elemento essenziale dopo la svolta avvenuta con la morte di Savimbi. I moderati che tre anni fa lasciarono la foresta per approdare nel Parlamento di Luanda potranno senza dubbio contribuire a convincere gli ex commilitoni ancora alla macchia a scegliere la via del negoziato.
I sopra citati sono solo alcuni esempi degli strazianti conflitti che attualmente dilaniano i Paesi del Sud del mondo e non solo, perciò non devono passare in secondo piano gli scontri armati in Uganda, Iraq, Nepal, Colombia, Ruanda, Kashmir, Aceh, Abkhazia, Burundi, Sudan, Afghanistan, Filippine, Birmania, Liberia, Somalia, Eritrea-Etiopia, India, Macedonia, Sri Lanka, Molucche, Nigeria, Sierra Leone, Papuasia occidentale, Kurdistan, Senegal, Chiapas, Congo Brazzaville, Costa d’Avorio, Repubblica Centraficana.