COLONIALISMO & NEOCOLONIALISMO
Se l'ascesa dei grandi stati nazionali europei nei secoli XVII e XVIII spinse le monarchie assolute ad utilizzare le scoperte geografiche per affermare fuori dall'Europa la loro politica di potenza attestando il colonialismo, così la seconda guerra mondiale, la perdita di ruolo delle grandi potenze coloniali (Francia e Gran Bretagna in particolare) e l'avvento della politica dei blocchi, diede inizio al processo di decolonizzazione.
Il periodo che va dalla fine della seconda guerra mondiale alla metà degli anni 70, vide la nascita di un elevato numero di stati indipendenti nell'area Asiatica e Africana.
Il processo di decolonizzazione favorito oltre che dalle variazioni geopolitiche postbelliche, anche dalla nascita dei movimenti nazionalistici e anticoloniali (vedi il movimento non violento in India, il movimento culturale Negritudine in Africa, il Fronte di Liberazione Nazionale in Algeria, in Panafricanismo, i movimenti di liberazione nelle colonie lusofone ….) e dalla azione degli organismi internazionali, è stato sotto molti aspetti un’ effimera liberazione.
I nuovi stati indipendenti, governati , spesso autoritariamente, da elites corrotte formatesi nelle scuole europee (la prima università dell'Africa nera nasce ad Accra nel 1948), hanno vissuto e vivono sotto il controllo politico-economico delle vecchie e nuove potenze "coloniali", che hanno continuato a sfruttarne le risorse (talora molto ricche) utilizzando la necessità di assistenza (in campo tecnologico, economico e umano) dei PVS come forma di controllo indiretto.
Pesante inoltre è stata l'interferenza politico-militare nelle questioni interne (l'intervento americano in Corea e in Vietnam, l'intervento Belga in Congo negli anni 60 e quello americano, cubano e sudafricano in Angola, per citarne solo alcuni), situazione che ha radicalmente mutato le sorti degli stati e che ha contribuito a consegnarci, nel Terzo Millennio, delle nazioni, soprattutto in Africa, profondamente povera e in continuo conflitto.
In ultima analisi, il Neocolonialismo rappresenta una continuità storica e politica con il colonialismo, attraverso il passaggio da un dominio diretto a un controllo politico, economico e militare sugli stati e le loro risorse, è una fase di trasformazione del sistema coloniale, tramonta l'ideologia della missione civilizzatrice e protettrice della colonizzazione precedente e si profila un nuovo modello di penetrazione economica senza responsabilità politiche né coinvolgimento militare, una forma di controllo indiretto che garantisce i vantaggi della dominazione coloniale abbattendone al contempo i costi.
Si seguono tre diverse politiche coloniali: da parte dei paesi di antica industrializzazione (Regno Unito, Francia, Olanda) si cerca di mantenere le colonie come mercato per le proprie merci e fonte di materie prime, da parte dei paesi di più recente industrializzazione (Germania, Italia, Giappone) una politica di espansione, da parte degli Stati Uniti una politica di dominio neocoloniale.
UN ESEMPIO DI NEOCOLONIALISMO: L’ALGERIA
La colonizzazione francese
Nel 1834 l'Algeria divenne un possedimento coloniale francese. Il nuovo regime incontrò l'opposizione degli algerini: l'emiro Abd al-Qadir guidò la resistenza berbera contro i francesi; considerato un eroe dai nazionalisti algerini, Abd al-Qadir si arrese solo nel 1847. Dopo questa data la Francia iniziò la colonizzazione di tutta la regione e incoraggiò nuovi insediamenti concedendo terre confiscate; l'Algeria divenne un Dipartimento francese d'oltremare, controllato da una minoranza di europei che costituivano la classe dirigente del paese; con un grande apporto di capitali dalla madrepatria i coloni modernizzarono l'economia, crearono industrie, banche, scuole, attività commerciali e promossero un'agricoltura strettamente legata alle loro esigenze, privilegiando viti e agrumi destinati all'esportazione verso la Francia.
La popolazione, nonostante i vantaggi acquisiti con lo sviluppo economico e l'istituzione di servizi sociali, rimase sostanzialmente svantaggiata rispetto alla classe dominante, anche a causa delle restrizioni imposte: gli algerini non potevano riunirsi in pubbliche assemblee, portare armi e nemmeno lasciare le loro case o i villaggi senza speciali permessi.
Solo una piccola minoranza della popolazione autoctona, che nel 1930 contava 5 milioni di persone, frequentò le scuole francesi e adottò la cultura europea, ma non fu mai considerata al pari dei colonizzatori; proprio da questo gruppo ebbero inizio i primi movimenti nazionalisti algerini.
Il nazionalismo algerino e la guerra per l'indipendenza
Il movimento nazionalista algerino fu costituito dopo la prima guerra mondiale da gruppi musulmani di formazione culturale europea che inizialmente si limitarono a chiedere la totale eguaglianza di diritti tra algerini ed europei. Guidato da Ferhat Abbas e Ahmed Messali Hadj, il movimento indusse il governo francese a emanare nel 1936 un provvedimento che equiparava i veterani algerini ai professionisti dell'esercito della madrepatria. L'opposizione, da parte dei deputati delle colonie all'Assemblea nazionale francese, a qualsiasi riforma, rafforzò il movimento nazionalista che durante la seconda guerra mondiale creò il Partito militante antifrancese. Dopo la guerra, l'Algeria venne equiparata al territorio francese e fu concessa l'istituzione della prima Assemblea parlamentare con ugual numero di deputati musulmani ed europei (1947). Il provvedimento, che non soddisfece né i nativi algerini né i coloni, spinse molti militanti nazionalisti alla lotta armata.
Nel marzo 1954 Ahmed Ben Bella, ex sergente dell'esercito francese, costituì, con altri otto cittadini algerini in esilio in Egitto, il primo comitato rivoluzionario del Fronte di liberazione nazionale (FLN). Il 1° novembre dello stesso anno il Fronte diede inizio alla guerra di liberazione contro la Francia con una serie di attacchi contro edifici pubblici, caserme di polizia ed esercito e installazioni per le telecomunicazioni.
La rivolta sfociò in azioni di guerriglia che per due anni insanguinarono il paese e costrinsero la Francia a inviare più di 400.000 soldati in Algeria. La tattica della guerriglia e il clima di forte tensione instaurato dall'FLN riuscirono in un primo periodo a disorientare e immobilizzare le forze francesi, numericamente superiori. In seguito la repressione della Francia, affiancata da nuclei terroristici di coloni oltranzisti, fu durissima, brutali incursioni nei villaggi musulmani e massacri di popolazione civile.
Nel 1956 la guerra raggiunse le città e culminò nel rastrellamento dei quartieri arabi della capitale (battaglia di Algeri). Gruppi di civili furono deportati in campi di prigionia, furono uccisi tutti coloro che erano sospettati di aver aiutato i guerriglieri e furono chiuse con recinzioni elettrificate le frontiere con Tunisia e Marocco al fine di isolare la forze dell'FLN. Condannata anche dalla NATO per l'intervento armato in Algeria, la Francia non fu in grado di trovare una soluzione politica alla guerra.
L'indecisione della madrepatria portò alla sedizione dei militari francesi e dei coloni di Algeri che cercarono di rovesciare il governo francese nel maggio 1958. Il Comitato di salute pubblica chiese il ritorno del generale Charles De Gaulle, leader della Francia libera durante la seconda guerra mondiale; una volta al potere, De Gaulle annunciò (1959) la sua intenzione di concedere all'Algeria la possibilità di scegliere tra l'integrazione con la Francia e l'indipendenza.
I coloni estremisti si ribellarono apertamente a De Gaulle nel 1960 e l'anno seguente un gruppo di generali, che aveva creato un'organizzazione armata segreta, tentò inutilmente di rovesciare le autorità governative francesi di Algeri. Nel marzo 1962 fu finalmente firmato a Evian (Francia) l'armistizio tra il governo francese e i rappresentanti del Fronte di liberazione nazionale. Nel giugno dello stesso anno fu indetto il referendum che portò l'Algeria a conseguire l'indipendenza e costrinse i coloni a lasciare in massa il paese.
L'indipendenza
A Evian oltre all'armistizio fu stipulato tra i due paesi un accordo per regolamentare la restituzione all'Algeria dei territori occupati dalla Francia e l'erogazione di speciali forme di aiuto che risarcissero le devastazioni di otto anni di guerra sul territorio algerino. In cambio, i rappresentanti del Fronte di liberazione nazionale si impegnarono a garantire diritti civili e protezione ai cittadini europei che avrebbero avuto tre anni di tempo per scegliere tra la cittadinanza algerina e quella francese. Nonostante le divisioni interne, i leader nazionalisti approvarono, nell'incontro di Tripoli, la risoluzione che proclamava l'Algeria stato indipendente socialista e riconosceva come autorità di governo il Fronte di liberazione nazionale.
Con la proclamazione della repubblica, Houari Boumedienne fu nominato comandante delle Forze armate e nel settembre 1962 Ahmed Ben Bella fu eletto primo presidente dell'Algeria indipendente.
La prima Costituzione, che stabiliva una forma presidenziale di governo, fu approvata nel 1963. Ben Bella governò l'Algeria per tre anni ma fu deposto nel 1965 dal colpo di stato del generale Boumedienne, ministro della Difesa. Guidato dal colonnello Boumedienne, il paese si avviò verso un rapido sviluppo economico, favorito dalla nazionalizzazione delle risorse minerarie e delle compagnie petrolifere. Il colonnello, che era stato il presidente del Consiglio della rivoluzione e comandante in capo delle Forze armate, affiancò ai membri dell'FLN i comandanti militari che avevano fatto parte del Consiglio della rivoluzione e governò il paese assumendo contemporaneamente le funzioni di presidente della repubblica, primo ministro e ministro della Difesa.
Eletto ufficialmente presidente della repubblica nel 1976, Boumedienne promulgò una nuova Costituzione in cui venne ribadito il carattere socialista della politica algerina. Alla sua morte, nel 1978, fu eletto presidente il colonnello Chadli Benjedid, che governò l'Algeria seguendo la stessa linea politica del suo predecessore. Nel 1980 Benjedid rimise in libertà Ben Bella e, nel 1984, fu nuovamente eletto presidente della Repubblica.
STORIA DEL COLONIALISMO IN AFRICA
LA COLONIZZAZIONE DELL’AFRICA
Dopo la costruzione del canale di Suez l’Egitto si indebitò con l’Inghilterra,che nel 1882 ne approfittò per farne un suo protettorato, lasciò, cioè, alle popolazione locale la sua autonomia politica amministrativa obbligandola però a dipendere dai conquistatori per tutte le questioni economiche.
L’Egitto fu trasformato in un’immensa piantagione di cotone: fu per l’Inghilterra non soltanto un acquisto economico, ma anche strategico e militare. Dall’Egitto le sue truppe controllavano l’accesso all’ Africa, all’Asia e al Medio Oriente. La conquista inglese allarmò la Francia, mentre la Germania intervenne come mediatrice, nella speranza di guadagnare a sua volta compensi territoriali. IL risultato fu una complessa spartizione dell’Africa che fu sancita nel 1885 tramite la conferenza di Berlino. Si crearono degli stati, dove popolazioni tradizionalmente nemiche erano costrette a convivere mentre altre, unite dalla stessa lingua e dalla stessa storia, venivano divise. Molte tribù così entrarono in lotta tra loro: gli Europei sobillavano queste contese per dimostrare che la loro presenza era indispensabile.
Gran parte dei territori conquistati dagli stati europei in Africa tra il 1880 e il 1910 fu organizzata in colonie di sfruttamento. Le popolazioni indigene cercarono in tutti i modi di opporsi alla conquista straniera, ma le loro truppe non riuscirono mai a contrastare quelle europee che erano meglio equipaggiate e dotate di armi tecnicamente più avanzate. Sia nel caso delle colonie di sfruttamento che in quello dei protettorati le popolazioni indigene furono costrette a lavorare per i conquistatori. La colonizzazione della fine del XIX sec. divenne per gli stati europei un’ affare colossale e più di una volta portò le varie potenze sulla strada dello scontro diretto. Delle molte tensioni scoppiate in Africa tra i colonizzatori europei di diversa nazionalità una sola diede luogo a una vera e propria guerra. Si tratta del conflitto che oppose gli inglesi ai boeri dal 1899 al 1902. I boeri discendevano da coloni olandesi stanziatisi presso il Capo di Buona Speranza fin dalla metà del 1600. Un secolo e mezzo più tardi, ai tempi di Napoleone, la colonia del capo era passata agli inglesi. Non sopportandone il dominio i Boeri si erano spostati verso l’interno, dove avevano proclamato due repubbliche indipendenti. La situazione divenne incandescente quando si scoprì che quelle terre erano ricche d’oro e di diamanti. Quei beni allettarono gli inglesi, che incominciarono a giungere numerosi nelle terre dei Boeri. Questi però non li accettarono volentieri. Imposero loro delle tasse, senza, d’altra parte, consentire che partecipassero al governo delle repubbliche. Ne nacque una guerra sanguinosa, nella quale i Boeri furono sconfitti. Sotto il controllo economico Inglese fu allora fondata l’unione sudafricana, che riuniva l’inglese colonia del capo alle due repubbliche Boere. Il governo di questa nuova colonia britannica, a cui parteciparono anche i Boeri, fin dai primi anni praticò una politica di segregazione razziale che relegava gli africani in speciali riserve, privandoli dei diritti civili e politici con conseguenze negative che si fanno sentire ancora oggi. L’Italia, in questa situazione ebbe, per lo più, un ruolo rappresentativo. Le mire espansionistiche del governo italiano si indirizzarono verso una zona dell’ Africa orientale nella quale l’insediamento coloniale appariva più agevole, sia perché esploratori e missionari avevano aperto un varco in quella regione, sia perché la concorrenza degli altri Paesi nella zona era meno agguerrita. Dopo aver acquistato nel giugno del 1882 la baia di Assab, sulla costa meridionale del Mar Rosso, nel febbraio del 1885 il governo italiano inviò i primi contingenti dell’esercito in quella che avrebbe formato la futura colonia di Eritrea, stanziandosi poi in Somalia e ponendo le basi per la successiva avanzata in Abissinia (ora Etiopia); ma la pronta reazione delle truppe abissine costrinse inizialmente alla resa. Dopo questa prima sconfitta l’Italia subì, il 1° marzo 1896, la pesante disfatta di Adua, nella quale caddero sul campo circa 7000 uomini. Il 26 ottobre 1896 fu conclusa la pace di Addis Abeba, con la quale l’Italia rinunciava alle sue mire espansionistiche in Abissinia. La disfatta provocò forti reazioni in tutta Italia, dove vi fu chi propose un immediato rilancio del progetto coloniale e chi, come i socialisti, propose di abbandonare immediatamente queste imprese.
LA DECOLONIZZAZIONE IN AFRICA
Dalla seconda guerra mondiale le potenze coloniali europee uscirono economicamente e psicologicamente indebolite, mentre era cresciuto il ruolo internazionale delle superpotenze statunitense e sovietica. Nelle colonie francesi dell'Africa settentrionale, dal 1947 in poi si sviluppò un forte movimento nazionalista. La rivoluzione algerina ebbe inizio nel 1954 e proseguì fino al 1962, anno in cui il paese ottenne l'indipendenza, già raggiunta dal Marocco e dalla Tunisia nel 1956. Nell'Africa subsahariana francese il presidente Charles De Gaulle aveva cercato di prevenire i movimenti nazionalistici garantendo agli abitanti dei territori d'oltremare lo status di cittadini a pieno titolo e consentendo a deputati e senatori di ciascun territorio di sedere nel Parlamento francese. Ma i limiti al diritto di voto e alla rappresentanza di ciascun territorio si rivelarono inaccettabili.
Nelle colonie britanniche il ritmo del cambiamento accelerò dopo la guerra. Cominciarono ad apparire partiti di massa che accoglievano la schiera più ampia possibile di gruppi sociali, etnici ed economici. Nel Sudan, i disaccordi fra l'Egitto e la Gran Bretagna circa l'orientamento dell'autogoverno sudanese indussero i britannici a concedere l'indipendenza nel 1954. Durante gli anni Cinquanta gli esempi delle nazioni di recente indipendenza, la rivolta dei Mau-Mau in Kenya e l'abilità di alcuni leader popolari africani come Kwame Nkrumah produssero nuovi impulsi indipendentisti. Il Ghana ottenne l'indipendenza nel 1957, la Guinea nel 1958. Soltanto nel 1960 nacquero ben diciassette nazioni africane sovrane.
Alla fine degli anni Settanta, quasi tutta l'Africa era indipendente. I possedimenti portoghesi – Angola, Capo Verde, Guinea-Bissau e Mozambico – raggiunsero finalmente l'indipendenza nel 1974-75, dopo anni di violenti conflitti. La Francia rinunciò alle isole Comore nel 1975 e Gibuti ottenne l'indipendenza nel 1977. Nel 1976 la Spagna abbandonò il Sahara spagnolo, che fu poi suddiviso fra Mauritania e Marocco; qui però si continuò a combattere una dura guerra per l'indipendenza (vedi Sahara Occidentale). La Mauritania cedette la sua parte nel 1979, ma il Marocco, prendendo il sopravvento sull'intero territorio, continuò a combattere il locale Fronte Polisario.
Lo Zimbabwe conquistò l'indipendenza nel 1980. L'ultimo grande possedimento coloniale nel continente, la Namibia, conseguì l'indipendenza nel 1990. Ma si dovette attendere il 1994 perché la maggioranza nera in Sudafrica ottenesse la propria "indipendenza" grazie a un governo di maggioranza democraticamente eletto.
L'Africa uscì dal periodo coloniale in una situazione di grave crisi economica, politica e sociale. Inoltre gran parte dei paesi africani conservò le frontiere tracciate arbitrariamente sul finire del secolo XIX dai diplomatici e dagli amministratori europei. In molti casi i gruppi etnici vennero divisi dai confini nazionali e spesso la lealtà nei confronti dei gruppi fu molto più forte di quella verso lo stato: la ripercussione immediata fu lo scoppio di violente ribellioni e conflitti etnici in molti paesi (ad esempio la guerra del Biafra).
Per evitare conflitti etnici e cercare di mantenere l'equilibrio interno, molte tra le nuove democrazie divennero ben presto dei regimi autoritari a partito unico, la cui sopravvivenza dipendeva dal sostegno finanziario e militare delle superpotenze. I regimi africani si caratterizzarono tuttavia per un'estrema instabilità e per il sovente cambio di guardia attraverso cruenti pronunciamenti militari.
Anche lo sviluppo economico rappresentò un problema insormontabile per la nuova Africa. Benché gli stati africani disponessero di cospicue risorse naturali, pochi avevano i mezzi finanziari necessari a sviluppare le loro economie. Spesso le imprese private straniere considerarono troppo rischiosi gli investimenti in queste regioni instabili e l'unica possibilità per molti paesi africani di accedere a crediti fu quella di rivolgersi ai paesi industrializzati e agli istituti finanziari internazionali, con i quali contrassero un enorme debito, che finì per condizionare enormemente le già esigue possibilità di sviluppo economico e sociale; negli anni Ottanta, la restituzione di questi prestiti portò pressoché alla bancarotta molte economie africane.